home raccolta supplementi
APPENDICE alla Nota 6 § [ caprioli in scatola ]
Una nota di Adriano Ardovino dal volume Dell’origine dell’opera d’arte e altri scritti di Martin Heidegger, Università degli Studi di Palermo, pag. 27

“Per quanto attiene in generale ai pronunciamenti heideggeriani sull’arte e sulla dettatura (non ancora tecnicizzata sulla base del confronto con Hölderlin) precedenti gli anni ’30, su cui ovviamente non possiamo soffermarci in modo adeguato, si debbono menzionare almeno i seguenti. Nel corso del fondamentale semestre invernale 1925-26 intitolato Logica. La questione della verità, in cui viene esposta la prima interpretazione dello schematismo kantiano, Heidegger compie una notevole digressione sulla sensibilizzazione (Versinnlichung) e sulla rappresentazione/esibizione (Darstellung) artistica in riferimento a Franz Marc – che sarebbe istruttivo porre a confronto col più tardo riferimento a Van Gogh –, attingendo interessanti conclusioni sul tema del «concetto ermeneutico» e sulla capacità dell’arte di mostrare la costituzione concreta della Umwelt: «La fotografia di un cane e l’immagine di un cane in un manuale di zoologia e il dipinto “il cane” esibiscono qualcosa di diverso e in un modo diverso. I caprioli nel bosco, dipinti per esempio da Franz Marc, non sono questi caprioli in questo determinato bosco, ma “il capriolo nel bosco”. È possibile definire una tale esibizione nel senso dell’arte come una schematizzazione, la sensibilizzazione di un concetto, sempre a condizione che qui “concetto” non venga compreso come “concetto teoretico”, come il concetto zoologico del capriolo, ma come il concetto di un essente che compare facendosi innanzi insieme a me nel mio mondo e che, come me, ha nel mondo che condividiamo un mondo circostante; il capriolo, per così dire, come “abitatore del bosco” contro il concetto anatomico-zoologico del capriolo. Se si presta attenzione a questa distinzione tra i due concetti, allora è effettivamente possibile dire che nell’arte è esibito il concetto; lo si può dire se inoltre si presta attenzione alla tendenza e alla modalità di comprensione cui questi diversi concetti corrispondono. Ma con questo non s’intende solo dire che questa sensibilizzazione nell’esibizione artistica si distingue essenzialmente da una semplice riproduzione pittorica, così come si distingue da una schematizzazione teoretica, fatta per esempio per scopi zoologici. Nell’esibizione artistica è esibito un concetto che in questo caso esibisce la comprensione di un esserci, più esattamente di un essente che è insieme a me nel mio mondo circostante, la comprensione di un essente e del suo essere nel mondo; esibisce, infatti, l’essere-nel-bosco del capriolo e la modalità del suo essere-nel-bosco. Definiamo questo concetto del capriolo e questo concetto del suo essere come concetto ermeneutico, in contrapposizione ad un puro concetto cosale» (GA 21, 364; 240). Nel semestre estivo del 1927 su I problemi fondamentali della fenomenologia ricorrono già alcune tesi sulla dettatura attinte in riferimento a Rilke, che tuttavia risentono ancora fortemente della prospettiva trascendentale dell’ontologia fondamentale di Essere e tempo e della sua interpretazione della mondanità del mondo, per cui il fine specifico di ogni »dichtende« Rede poteva essere costituito, tra l’altro, dalla « comunicazione delle possibilità esistenziali della disposizione affettiva, ossia l’apertura dell’esistenza» (GA 2, 216; 206): «La dettatura non è altro che questo elementare venire-alla-parola, cioè la scoperta progressiva dell’esistenza come essere-nel-mondo. Ciò che essa esprime permette di far vedere agli altri, che prima erano ciechi, il mondo» (GA 24, 244; 164); qui «il mondo, cioè l’essere-nel-mondo – Rilke lo chiama la vita – scaturisce in maniera elementare a noi dalle cose. Ciò che nel passo citato Rilke legge nel muro messo a nudo non è trasferito in esso dettaticamente (hineingedichtet): al contrario, la sua descrizione è possibile soltanto come interpretazione e illuminazione di ciò che “davvero” è nel muro, che dal muro scaturisce nel rapporto naturale che con esso noi abbiamo. Colui che detta è in grado non soltanto di vedere questo mondo originario, pur senza riflettervi o scoprirlo in maniera teoretica, ma anche di comprendere quel carattere filosofico del concetto di vita che già Dilthey aveva intravisto e che noi abbiamo compreso attraverso il concetto di esistenza come essere-nel-mondo» (GPP, 246-47; 165). Nel semestre invernale 1927-28, dedicato integralmente alla Critica della ragione pura, Heidegger valorizza le tesi del § 28 dell’Antropologia, in cui Kant riformula la distinzione tra immaginazione produttiva e riproduttiva come inventiva e reinventiva. L’inventivo è qui il dichtend, distinto tuttavia dallo schöpfend. L’immaginazione produttiva è dunque inventiva, ma non creativa, in quanto deve sempre rifarsi a qualcosa di preliminarmente dato. In uno dei passaggi conclusivi del semestre, giocando peraltro appieno sull’ambiguità dei termini, che invece saranno drasticamente ridimensionati allorché, nel trattato definitivo sull’opera d’arte, Heidegger escluderà senz’appello che l’arte possa essere interpretata in termini di immaginazione o di fantasia, comunque esse siano intese, si afferma che «L’immaginazione produttiva è perciò originaria, cioè, nella sua attuazione, liberamente offerente, essa è libera facoltà della dettatura (Dichtungsvermögen). Essa è la facoltà ontologica radicale [...] e solo perché facoltà ontologica fondamentale essa è la libera unità estatica della temporalità originaria; solo perché facoltà ontologica ha il carattere della possibilità della dettatura (Dichtungsmöglichkeit) in quanto synthesis speciosa – solo per questo è possibile qualcosa come il svincolamento ontico della conoscenza empirica mediante i fenomeni. Qui si mostra più concretamente, entro l’ambito della problematica trascendentale e ontologica [...] il rapporto originario tra libertà e necessità: l’afferramento dell’ontico come essente in se margine della libera dettatura (freie Dichtung) dei rapporti temporali» (GA 25, 417; 245). Infine, nel corso del celeberrimo dibattito con Cassirer svoltosi a Davos nel 1929, Heidegger sostiene polemicamente, ancora nel quadro della metafisica dell’esserci, che «L’arte non è soltanto una forma della coscienza che viene configurandosi, bensì l’arte stessa ha un senso metafisico entro l’accedere fondamentale dell’esserci stesso» (GA 3, 291; 232).







VALIGIE
parte seconda H.D.S. MAROQUINERIES